Il ciclismo a 360°

tutto di tutti a anche di più

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  1. stress
     
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    Raccolgo l'invito e creo questo 3 d.
    Buona discussione
     
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  2. enzo picci
     
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    Ennesima bufala dell'antidoping.
    da www.cyclingworld.it

    La disavventura di Pozzato

    Scritto da Vincenzo Piccirillo


    Tante volte abbiamo sentito di vicende assurde e al limite del paradossale in materia di antidoping sia per i controlli e il modo in cui venivano effettuati che per le scuse usate dagli atleti per giustificare una positività o un mancato controllo, stavolta tocca agli ispettori, la “vittima” è Filippo Pozzato, in ritiro a Calpe con la Katusha, l’episodio è stato raccontato proprio da Pippo dalla sua pagina Facebook. “Buon giorno! Questa mattina sveglia presto....6:57....controlli....usciamo io e il gerva (Luca Paolini ndr) e l’incaricato al controllo antidoping: ma Pozzato Paolini non è nome e cognome??? Quindi procedura sbagliata ...test annullato!!!!e Intanto ci hanno svegliato alle 7 per niente e sono ancora rimbambito!!!!”

    Alla fine nulla di grave ma certo non dev’essere piacevole essere svegliato cosi presto per nulla ma soprattutto è inammissibile che girino certi personaggi e in un ruolo delicato come quello di ispettore antidoping.
     
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  3. riccardo78
     
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    Tour de France, ecco le invitate. La Geox è fuori

    Ogni dubbio sulle partecipanti al Tour de France è sciolto. Aso ha deciso di invitare, oltre alle 18 formazioni di ProTour, quattro delle cinque squadre Professional francesi, vale a dire le sperimentate Cofidis, FdJ e Team Europcar e l'esordiente Saur Sojasun. Bocciata clamorosamente la Geox Tmc di Gianetti che puntava su Menchov e Sastre.

    Le invitate
    OMEGA PHARMA-LOTTO BEL
    QUICKSTEP CYCLING TEAM BEL
    SAXO BANK SUNGARD DEN
    EUSKALTEL-EUSKADI ESP
    MOVISTAR TEAM ESP
    AG2R LA MONDIALE FRA
    SKY PROCYCLING GBR
    LAMPRE - ISD ITA
    LIQUIGAS-CANNONDALE ITA
    PRO TEAM ASTANA KAZ
    TEAM LEOPARD - TREK LUX
    RABOBANK CYCLING TEAM HOL
    VACANSOLEIL-DCM PRO CYCLING TEAM HOL
    KATUSHA TEAM RUS
    BMC RACING TEAM USA
    HTC-HIGHROAD USA
    TEAM GARMIN-CERVELO USA
    TEAM RADIOSHACK USA

    COFIDIS, LE CREDIT EN LIGNE FRA
    FDJ FRA
    SAUR - SOJASUN FRA
    TEAM EUROPCAR FRA
     
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  4. enzo picci
     
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    Decisi anche gli inviti per la Tirreno Adriatico, Rcs ha scelto di invitare solo 2 squadre, Acqua e Sapone di Garzelli e Farnese Vini di Visconti e Noè, restano a casa Androni, Geox e Colnago, scelta discutibile perchè Rcs poteva invitare fino a 25 squadre invece al via ne avremo solo 20.

    Ufficializzate anche le squadre per la Parigi - Nizza, sono quelle del Tourcon l'unica eccezione della Saur Soajun che sarà sostituita dalla Bretagne Schuller. Dunque giornata nerissima per la Geox esclusa dalle prime 3 corse importanti.
     
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  5. enzo picci
     
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    Sembra proprio che per i grandi velocisti questo 2011 sia iniziato abbastanza male, infatti dopo le difficoltà con relativa caduta in Australia di Cavendish e Farrar, incidente di percorso anche per Petacchi che a causa di una bronchite dovrà saltare il giro della Provincia di Reggio Calabria, che sarebbe stata la sua prima corsa.
     
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  6. gianmala
     
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    SUPER MARIO A RAFFICA!!!.....INTERVISTA CHE MERITA DI ESSERE LETTA!!!

    Cipollini: «Questo è un ciclismo di signorine»


    Capelli scolpiti con il gel, barba di tre giorni, un leggero velo di abbronzatura: Mario Cipollini, 43 anni, ci accoglie nella sua bella casa di San Quirico, sulle colline lucchesi. Indossa una camicia bianca, un jeans di Cavalli e si dice entusiasta di tornare in gruppo come consigliere tecnico della Katusha. Un’idea di Andrei Tchmil, che da tempo lo voleva al suo fianco. «Vuole che mi occupi dei giovani sprinter russi, che metta al loro servizio la mia esperienza, che trasmetta loro la cultura del ciclismo. Che insegni loro a fare un treno. È un compito affascinante».
    Cinque anni dopo essersi ritirato, lei è tornato in grande stile come tecnico del Team Katusha. Anche se sembra non ritrovarsi nel ciclismo di oggi...
    «Il mio era un ciclismo tutto diverso. Prima di lanciare uno sprint, io mi sentivo un gladiatore, pronto a tutto per mantenere la mia posizione. E quando perdevo, non ero capace di andare a complimentarmi con chi mi aveva battuto, come ha fatto, per esempio, Andy Schleck al Tour. Io odiavo il mio avversario perché mi aveva tolto il pane di bocca. Aveva rubato il mio momento, la mia gioia, la mia fierezza. Io avevo bisogno di metabolizzare la mia sconfitta. E se qualcuno era stato scorretto, avevo l’istinto di alzare le mani, spinto dagli ormoni, dall’adrenalina. Sul traguardo della Sanremo del 2003 ho minacciato Eisel di strangolarlo, schiacciandogli il volto con il mio pugno. Tutto perché mi aveva chiuso ai 300 metri. Sì, l’ho minacciato: “Non permetterti di farlo mai più!” gli ho urlato. E facevo davvero paura, l’ho capito dagli occhi degli spettatori che ci stavano attorno. Avevo dentro la cattiveria, ed era giusto così. Perché nessuno mi faceva regali. Correndo nelle Fiandre, sul Koppenberg, c’erano gregari che si buttavano a terra davanti alle mie ruote, per ostacolarmi. E se mi trovavo in una brutta posizione a tre chilometri dal traguardo, Kelly e Vanderaerden organizzavano al volo un ventaglio per farmi finire nel fosso. Era la regola».
    La nuova generazione è quindi troppo conformista?
    «Sì. Secondo me, i corridori guadagnano troppo senza aver dimostrato abbastanza. Un’immagine mi ha colpito in occasione del mondiale: si vede Hushovd tagliare il traguardo, continuare sullo slancio senza esultare perché non è del tutto sicuro di aver vinto. Poi frena e si getta tra le braccia del suo massaggiatore e Pozzato arriva e gli dà una pacca sulla spalla insinuandosi tra la schiera dei fotografi. Il tutto dura una frazione di secondo. Pozzato si fa soffiare il terzo posto e un secondo dopo non ha che un pensiero, quello di complimentarsi con il vincitore. Ma si può sapere cosa passava nella sua testa? Possibile che la vittoria sia divenuta a tal punto un accessorio da non provocare più né gioia né delusione? Nell’ultimo Giro, Basso non aveva approfittato di un incidente occorso a Evans in una tappa olandese, quella dei ventagli... Io, al suo posto, mi sarei messo pancia a terra per cercare di far saltare per aria colui che si presentava come il mio rivale più acerrimo. Sarebbe stata una guerra santa. Perché non lo ha fatto? Perché avevano lo stesso preparatore... È una spiegazione».
    Queste alleanze trasversali non sono una novità. Ci sono sempre state...
    «Tra grandi sì, ma si stanno moltiplicando. Capita che i procuratori abbiano sotto contratto corridori leader di formazioni diverse, che spesso sembrano correre come compagni di squadra. È il conflitto di interessi che spiega, forse, tutti questi buoni sentimenti. Un fenomeno nuovo. Vedere Schleck e Contador abbracciarsi sul Tourmalet, dopo il traguardo, poi i due scherzare insieme durante le interviste: beh, per me è fuori dal normale. Secondo logica, Schleck avrebbe dovuto essere furioso con se stesso: aveva appena perso il Tour!».
    Schleck sembrava cercare un accordo...
    «Dopo l’episodio del salto di catena del Port de Balès, avrebbe dovuto attaccare lo spagnolo ogni giorno, davanti alle telecamere, ai microfoni delle radio, senza lasciargli il tempo di replicare. “Contador mi ha provocato, ora lo provoco io”. Invece credo che sia successo questo: Riis ha dovuto gestire la questione in seno al suo team e fare a Andy una sorta di lavaggio del cervello, sapendo di avere già Contador sotto contratto. Ma così ci si allontana dal ciclismo, che resta uno sport estremo in cui il corridore ha sempre vissuto, suo malgrado, lontano dalla cortesia, per sopravvivere e restare a galla».
    Il Tour era, fino a poco fa, il teatro di una certa virilità, la stessa che lei incarnava. Sono tempi ormai passati?
    «I campioni della storia avevano dei volti ruvidi, sembravano tori dalle narici fumanti. Erano capaci di sopportare le sofferenze peggiori e portavano con sé dei sogni straordinari. E puntavano sull’aggressività per sopravvivere dove gli altri morivano. Nessuno poteva immaginarsi, allora, di vedere Coppi complimentarsi con Bartali o Merckx stringere la mano di Thévenet dopo una sconfitta. Adesso io non sento più, nei leader, lo stesso bisogno interiore di affermarsi. Il machismo sta sparendo. E non lo trovo certo in Contador».
    Forse perché non ha avversari...
    «No, non per questo. Contador ha il volto anonimo di un geometra, di un ragioniere. Quando si alza sui pedali, non lo sento vibrare. Non ha lo stile tipico di un campione che è padrone della sua bicicletta, non ha l’armonia di un Merckx che, in pieno sforzo, sembrava potesse piegare la bicicletta tanta era la forza delle sue braccia».
    Il ciclismo sarebbe diventato in qualche modo asessuato
    «Ho letto un’intervista del professor Umberto Veronesi. Tra cinquecento anni o giù di lì, l’essere umano potrebbe essere dotato di entrambi gli organi genitali, maschile e femminile (ride mentre lo dice..., ndr). Non vorrei che questa evoluzione sia già cominciata nel ciclismo».
    Lei, quando si è ritirato, sognava di allestire una sua squadra: è un progetto che le sta sempre a cuore?
    «Due anni dopo il ritiro, sono rientrato alle corse negli Stati Uniti, perché pensavo di avere trovato in Mike Ball, patron della Rock and Republic, uno sponsor con la voglia di innovare. Avrei dovuto correre un anno, lanciare il mio marchio di abbigliamento sportivo, diventare il manager di una squadra che in due anni avrebbe dovuto puntare a vincere il Tour. Ma mi sono fatto fregare. E non potevo fare più di quel che ho fatto. Ripensare ad un progetto oggi è difficile, c’è un tale casino in Italia per questioni di doping che tutto è diventato problematico. Il procuratore Torri ci ha messo del suo dicendo che tutti i corridori si dopano. Una eresia».
    Parole, quelle di Torri, che sembrano quelle di un uomo scoraggiato...
    «Ha anche detto che bisognerebbe legalizzare il doping, se non fosse pericoloso per la salute. Una riflessione intima, di grande leggerezza o di scoraggiamento non lo so, ma della quale ha mal valutato le conseguenze. E che avrà un effetto disastroso per il nostro sport».
    Ma al tempo stesso le sue parole poggiano su fatti concreti: Basso, Riccò, Di Luca, Rebellin sono caduti nella rete dell’antidoping. E molte inchieste sono ancora in corso...
    «I casi in questione si incrociano spesso e il problema è complicato. In ogni caso, salverei Basso, il cui caso è all’inizio del problema. Il vero manipolatore, era Fuentes. Era lui che lavava il sangue e tutto il resto. Basso è stato usato come capro espiatorio, ha pagato, con umiltà si è risollevato fino a vincere il Giro. Ma tutti quelli che sono venuti dopo, sapevano e con loro io sarei molto meno tollerante. Sbagliarsi è umano, ma continuare a farlo è diabolico».
    Ma come trovare una soluzione equa per tutti?
    «Il problema è che un corridore non si dice “Più mi dopo, più guadagno”. No, è qualcosa di più intimo, di più egoista. Molti si dopano pur sapendo che questo non sarà abbastanza per farli vincere. La soluzione? Io non ne vedo che una, drastica: la radiazione. È il momento di far paura alla gente. È necessario che chi risulta positivo, venga allontanato. Per sempre».
    In materia di doping, sono sempre i corridori che pagano, raramente i loro manager.
    «Questo perché rappresentano una lobby e perché questi manager non gestiscono più solo la loro squadra, ma anche la vita dei corridori che a questo punto non contano più nulla. Nel 1989 o nel 1990, ci siamo battuti contro l’obbligo di indossare il casco e una disposizione dell’UCI. Alla Tirreno-Adriatico, Moreno Argentin era il nostro rappresentnte. In Francia c’erano Fignon e Madiot. La sera si sentirono al telefono, il giorno dopo ci togliemmo il casco. Oggi nessun corridore oserebbe dire qualcosa contro l’Uci o contro la sua professione, se non Nibali che ha reagito, glielo riconosco, alle accuse di Torri. Gli ha detto: “Venga a controllarmi, io sono pulito. Non siamo tutti come ha detto lei!” Vincenzo almeno ha avuto il coraggio di esporsi. In Italia puntiamo molto su di lui per rinnovare il ciclismo».
    Intanto, però, è arrivato il caso Contador ad avallare le parole di Torri
    «Spero che Contador riesca a dimostrare la sua lealtà, altrimenti sarebbe una grande delusione. I casi di Riccò e Di Luca riguardano piccoli motori che cercano di migliorare la loro cilindrata. Riccò non è Pantani. Ma Contador è di un altro calibro».
    Come esserne sicuri? Come credere che Alberto abbia potuto essere l’allievo di Manolo Saiz - alla Once e alla Liberty Seguros -, che abbia potuto battere Riccò al Giro e Rasmussen al Tour, nomi che hanno fatto ricorso al doping, senza essere lui stesso “addizionato”?
    «(Risponde imbarazzato, ndr) Io non sono sicuro di niente e naturalmente parto da un presupposto. Ma io ci voglio credere. Sì, credere che abbia un valore atletico più elevato dei suoi rivali, tanto in montagna quanto nelle crono. Pedalerà a pane e acqua? Chiaramente non lo so. Io sottolineo solo che nel 2010 non ha mai raggiunto i picchi di condizione del 2009, anno nel quale ha dovuto sopportare anche lo stress della convivenza con Armstrong. E poi, non ha strutture attorno a lui. Gestisce la sua carriera e i suoi contratti in maniera artigianale con suo fratello, come se in una stessa famiglia possano nascere insieme un grande corridore e un grande manager».
    Gli organizzatori impongono le loro scelte anche sui corridori coinvolti in casi di doping: dicono sì a Basso e Vinokourov, dicono no a Riccò. Tutto questo sembra arbitrario.
    «È ingiusto, lo confermo. Riaprono le porte a tutti quelli che militano in squadre che stanno a cuore all’Uci. E non è stato il caso della Flaminia per la quale correva Riccò».
    Nella storia del ciclismo e del doping, i corridori non hanno saputo sempre difendere la loro causa, ripenso al blitz di Sanremo nel 2001, con l’irruzione di 240 carabinieri negli hotel del Giro. I corridori non avrebbero dovuto ribellarsi quel giorno e rifiutarsi di proseguire la corsa?
    «Eravamo una trentina a discutere nel salone di un albergo. Pantani voleva fermare il Giro. Era lui che dirigeva il dibattito, ma aveva già altri problemi, non era sufficientemente sereno per prendere una decisione. Dopodiché, il movimento si è disgregato».
    Accettando di ripartire, avete accettato implicitamente che vi si potesse trattare come volgari delinquenti.
    «Non eravamo sicuri di niente. I carabinieri avevano sequestrato qualcosa a Padrnos e Di Grande. Ci siamo spaventati. E se avessero messo cinquanta corridori sotto inchiesta? E se quaranta corridori fossero stati trovati con prodotti proibiti nelle loro valigie? Ci avrebbero accusati di complicità con i trafficanti».
    Ma in definitiva ci fu tanto rumore per nulla...
    «In Italia basta che un giudice indaghi su un traffico di prodotti dopanti perché sia proiettato in prima pagina sui giornali, con una notorietà che non potrebbe avere altrimenti. Il problema è che il ciclismo non è un’arma politica nelle mani di chi conta, come avviene per il calcio. Altrimenti ne trarremmo ben altri benefici».
    In concreto...
    «A Sanremo, nessuno dei 240 carabinieri sapeva quel che doveva cercare. Non avevano alcuna competenza specifica in campo farmaceutico. Dopo il loro intervento, ci sono stati numerosi altri rami d’inchiesta, interrogatori, perquisizioni, una mole enorme di lavoro per arrivare a dire, alla fine di un processo, “non abbiamo trovato niente”. O talmente poco che non vale la pena di parlarne. Due o tre corridori sono stati sospesi, ma erano figure di terzo livello. Ma chi ha pagato, se non i contribuenti italiani? Perché nessuno ha mai considerato quanto è costata quella operazione? Se il ciclismo avesse un vero impatto politico, la sinistra avrebbe accusato un giudice di destra, o viceversa, di aver condotto un’inchiesta dispendiosa, di aver sprecato chissà, due o tre milioni di euro di soldi pubblici. Se le inchieste sul ciclismo proliferano nel nostro Paese, è perché il nostro sport non suscita alcun interesse politico. Di contro, i corridori devono accettare di essere controllati a casa loro, giorno e notte, a dispetto della loro vita privata. E in barba a qualsiasi diritto civile. Ci manca ormai solo il braccialetto elettronico, ma presto ci arriveremo. Di solito, la politica ha il controllo su tutto, ma nel ciclismo è l’Uci che comanda. Ma perché l’Uci è più importante in Italia del governo e della politica?».

    da tuttoBICI di gennaio a firma di Philippe Brunel


     
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  7. enzo picci
     
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    grazie gian per quest'intervista, sono daccordo con le parole di re leone, uno che perde non può andare da chi lo battuto dopo tanta fatica ed essere il primo a "festeggiare" con lui.
     
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  8. enzo picci
     
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    Vi metto l'intervista che ho realizzato per www.cyclingworld.it con Filippo Pozzato, che ha risposto subito alle mie domande nonostante stia correndo in Qatar.
    Filippo Pozzato “ Mi manca solo un briciolo di fortuna”
    Scritto da Vincenzo Piccirillo

    image
    Pozzato è pronto per un grande 2011.

    Filippo Pozzato è uno che ha bisogno di poche presentazioni, nel mondo ciclistico è considerato da sempre tra i migliori interpreti nelle corse di un giorno, con una particolare propensione per le classiche del Nord, con Fiandre e Roubaix come corse preferite. Pippo reduce da un 2010 non proprio esaltante è chiamato al riscatto in questo 2011, visto che la stagione sta entrando nel vivo e le corse di Pippo si stanno avvicinando noi di cyclingworld, lo abbiamo raggiunto in Qatar dove sta disputando le prime corse stagionali e ci siamo fatti raccontare ambizioni e progetti per quest’anno che verrà in cui sarà chiamato insieme ad altri corridori a riportare i colori italiani sul podio più alto in una delle classiche storiche del calendario mondiale, visto che ormai l’ultima vittoria di un corridore italiano è quella di Rebellin alla Freccia Vallone 2009, (nell’albo d’oro della corsa risulta ancora essere il vincitore), o quella di Cunego al Lombardia nel 2008. Crediamo che i tempi per Pippo di mostrare tutto il suo valore sia ormai arrivato, buona fortuna Pippo.



    Ha iniziato la stagione in Qatar e Oman perché?

    “Perché è caldo, c’è vento e un buon ritmo corsa. Tutti elementi ideali per crescere di condizione fisica”.

    Soddisfatto delle sensazioni avute nei primi giorni di corsa?

    “Sì, le sensazioni sono molto buone. La strada sembra quella giusta”.

    In questo 2011, dopo un 2010 abbastanza difficile e con una sola vittoria, è chiamato a riscattarsi quali sono le corse su cui punta maggiormente?

    “In realtà ne ho vinte tre di corse, compresa la premondiale in Australia. Punto sulle solite gare: Sanremo, Fiandre e Roubaix”.

    Per Fiandre e Roubaix sarà ancora Cancellara l’uomo da battere, o punta sulla voglia di rivalsa di Tom Boonen?

    “Sono entrambi uomini da battere: Boonen è sempre uno dei favoriti perché è anche in grado di vincere in volata. Fabian ha dimostrato l’anno scorso cos’è in grado di fare”.

    Dopo Qatar e Oman, quale sarà il suo programma di gara in avvicinamento alle classiche?

    “Het Nieuwsblad, Kuurne-Bruxelles-Kuurne, Giro del Friuli, Tirreno-Adriatico e Milano Sanremo”.

    Cosa le è mancato lo scorso anno per ottenere i risultati sperati?

    “Un briciolo di fortuna…”.

    Dopo la vittoria della Sanremo nel 2006, nessuna vittoria nelle classiche monumento, secondo lei qual è il motivo? Cosa le è mancato?

    “Ci sono state corse dove andavo molto più forte della Sanremo vinta. Purtroppo nelle competizioni ad alti livelli serve determinazione, condizione fisica e come detto un briciolo di fortuna. Io non sono veloce da vincere gli sprint di gruppo e quindi occorrono determinate caratteristiche di gare. Le mie possibilità di vittoria sono inferiori rispetto ad un velocista”.

    E’ consapevole che questo sia un anno decisivo per la sua carriera, in quanto dopo i vari attestati di stima e le buone prestazione è ora di tornare a vincere corse importanti per non rimanere un’eterna promessa o diventare l’eterno piazzato? Questa situazione la carica ulteriormente o le è indifferente?

    “Né una né l’altra. Sono un professionista e conosco la realtà dei fatti. So che questi anni davanti a me saranno fondamentali per lasciare un segno importante nel mondo del ciclismo. Vincere non è affatto facile e qualche volta la differenza tra l’essere protagonisti e portare a casa una vittoria è ben poca. Sicuramente sono concentrato per dare il massimo”.

    Lei è uno di quei corridori che preferisce “allenarsi” in gara, facendo quindi tanti giorni di corsa, pensa di fare in questo modo anche in questa stagione ? Non pensa che questo possa farla arrivare scarico ad alcuni appuntamenti?

    “Sì, in effetti ho corso forse troppo in questi ultimi due anni. Ma spesso il motivo era figlio di cambi di programma derivanti da influenze e cadute. Cercherò di correre un po’ meno”.

    Negli scorsi anni spesso la Katusha non si è dimostrata all’altezza delle migliori squadre come la Saxo o la Quick Step, però per quest’anno la squadra si è rinforzata adeguatamente per la campagna del Nord ingaggiando Paolini, Kuschynski e Hoste crede che questo possa fare la differenza a suo favore?

    “Credo proprio che avremo una formazione all’altezza delle migliori. I corridori arrivati sono sicuramente di prim’ordine”.

    L’ingaggio di Paolini visto il vostro rapporto è stato chiesto direttamente da lei?

    “Ho fatto il suo nome, ma poi hanno deciso i manager della squadra. D’altronde il suo valore non si discute”.

    E’ vero che lei è stato l’artefice dell’ingaggio di Luca Mazzanti da parte della Farnese Vini, chiedendo a Luca Scinto di non lasciare a piedi un suo caro amico?

    “No. Mi è stato chiesto un giudizio su Luca e chiaramente è stato positivo. Credo che Mazzanti sia un professionista esemplare”.

    In carriera lei ha sempre corso in squadre molto importanti a partire dalla Mapei, poi Fassa Bortolo, Quick Step, Liquigas e ora Katusha, in quale si è trovato meglio?

    “Mi sono trovate benissimo in tutte quante”.

    Le differenze maggiori tra le squadre italiane e quelle straniere?

    “Ormai non ci sono grandi differenze perché le squadre importanti sono tutte realtà internazionali indifferentemente dalla bandiera che battono”.

    Lei è passato direttamente dalla categoria juniores ai professionisti rifarebbe questa scelta? Perché?

    “Sì, perché ho avuto la fortuna di passare in una squadra che aveva un progetto ad hoc per fare crescere i giovani. Siamo maturati senza nessuna pressione e oggi chi faceva parte di quel gruppo sono tra i corridori più forti al mondo”.

    Tra qualche mese ci sarà il rientro di Davide Rebellin, ormai alla soglia dei 40 anni, crede che possa essere un avversario pericoloso?

    “Era un avversario forte e credo lo sarà ancora a dispetto dei suoi 40 anni”.

    Durante la squalifica lo ha mai incontrato in allenamento visto che vivete nella stessa città? Come le è sembrato?

    “Sì, l’ho incontrato perché viviamo entrambi a Montecarlo. Mi è sembrato come sempre: gentile, educato e sereno”.

    Crede che il ciclismo possa sconfiggere veramente il doping?

    “Sicuramente sì. Stiamo già facendo tantissimo”.

    La Vittoria più bella?

    “Milano-Sanremo 2006”.

    La sconfitta più amara?

    “Milano-Sanremo 2008”.

    La corsa che sogna?

    “Il campionato del mondo”.

    Il rivale più forte affrontato in questi anni?

    “Tom Boonen e Fabian Cancellara”.

    Il suo idolo da bambino o il campione a cui si ispira?

    “Gianni Bugno”.

    Faccia una promessa ai suoi tifosi?

    “Di dare sempre il massimo sperando che la fortuna mi possa accompagnare”.
     
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  9. gianmala
     
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    Bravissimo Vince, ottimo lavoro! Sicuramente un pizzico d'emozione a dialogare con personaggi di questa portata!...come l'hai realizzata l'intervista? l'hai sentito direttamente Pippo oppure il tutto è avvenuto con scambio di mail? Complimenti comunque!

    Per quanto riguarda l'intervista di Cipollini mi spiace soltanto che, considerata la porta del personaggio ed i temi trattati, non si sia sviluppata, in merito, una discussione tra gli amici forumisti...passaggio necessario per permettere al forum di crescere di livello! Personalmente ritengo che, in questo tipo di sito, non sia molto importante soltanto pubblicare articoli di altri ma, soprattutto, esprimere pareri ed opinioni e discutere su quanto viene proposto....
     
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  10. enzo picci
     
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    Ho contatatto Pippo su Facebook, ma lui mi ha detto che dovevo rivolgermi all'addetto stampa della katusha, Andrea Agostini, l'altroieri gli ho inviato le domande e stesso in giornata Pippo mi risposto e l'addetto stampa mi ha inviato il tutto. Un pò di emzione c'è sempre soprattutto con ciclisti forti come Pozzato.
    Anche su questo sono daccordo con te in effetti le discussioni stentano un pò a prendere quota.

    Si vede che Cipollini è uno che ha l'occhio lungo infatti aveva detto che Riccò e Di luca erano 2 che cercavano di migliorare il proprio motore.
     
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  11. gianmala
     
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    Per questo ho lanciato l'appello a Giannirunco, Zalez, Loriano già iscritti al forumfree ed agli amici Rocco D'Elia Fotorode ,Giuseppe Costa e Miky70 tra gli altri perchè apprezzati forumisti ed autori di interventi sempre equilibrati ed interessanti!!
    Questo forum deve crescere sicuramente anche se non siamo assolutamente ancora entratio nel vivo della stagione....
     
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  12. Nathalie5
     
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    Complimenti Vincenzo ! Pippo è un corridore che apprezzo, sembra avere la "grossa testa" ma in realtà è qualcuno di gentile e semplice. L'ho incontrato più volte alla Roubaix e sul Tour e l'ho sempre trovato disponibile con i tifosi. Spero che quest'anno potrà vincere una bella corsa come nel 2006.

     
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  13. Nathalie5
     
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    Caso Radioline / Lettera aperta di Jens Voigt

    Un altro campione, il tedesco Jens Voigt, scende in campo contro il divieto di utilizzo delle radioline e lo fa con una lettera aperta argomentata e intelligente che vi proponiamo:

    Cari appassionati di ciclismo, la discussione in corso sul divieto di utilizzare le radio si sta facendo accesa e sento il bisogno di spiegare le cose dal punto di vista del corridore. Sono favorevole al 100% all'uso della radio, per motivi diversi. L'argomento più importante a mio avviso è la sicurezza, non solo per i corridori ma anche per la i tifosi.
    Permettetemi di fare uno o due esempi. L'anno scorso in una gara di Under 23 in Francia, uno spettatore ha ignorato i regolamenti ed è entrato sulla strada in direzione opposta alla corsa. Di solito accade che il direttore di gara avverta del pericolo su radiocorsa e, immediatamente, tutti i direttori sportivi avvisano i propri corridori via radio per evitare un possibile incidente mortale. Ora, in quella corsa francese non c'erano le radio, come in tutte le gare Under 23. Provate a mettervi nella posizione di un direttore sportivo che sa che c'è un auto che viaggia in senso contrario al gruppo: non può avvisare i suoi corridori, può solo sedersi e aspettare. E magari pensare a quello che dovrà dire ai genitori di uno dei suoi corridori, se sarà investito. Perché questo è quello che è successo: l'auto ha investito un giovane corridore olandese, che è stato in coma per 3 settimane. Tutti i presenti hanno convenuto che l'incidente avrebbe potuto essere evitato se i corridori avessero avuto le radio.
    Ora, vi chiedo: c'è qualcuno che ritiene il ciclismo più eccitante quando si va in ospedale a trovare quel giovane e spiegare a sua madre piangente che tutto è dovuto al divieto di usare le radio? Io non credo sia così.
    Un altro esempio viene dalla mia esperienza personale. Due anni fa sono caduto malamente al Tour, mentre ero in fuga. Ero a terra, sanguinante e attornoa me c'era grande confusione, metà della carreggiata era occupata e dovevano ancora arrivare, in discesa, almeno 150 corridori. Fortunatamente, i direttori sportivi sono stati in grado di mettere in guardia i loro corridori. Potete immaginare cosa sarebbe successo se il gruppo, ignaro, fosse arrivato a tutta velocità e si fosse trovata metà della strada bloccata?
    Ora mi chiedo: non bastano queste due storie - solo queste due - per chiudere il dibattito? Se le cose fossero andate in altro modo, chi sarebbe andato a Berlino a spiegare ai miei sei figli che il loro padre aveva avuto un incidente fatale ed era la sfortunata vittima di una decisione di divieto all'uso delle radio?
    C'è di più. Qualcuno mi può spiegare come possiamo attirare sponsor se il nostro sport torna all'età della pietra? Un aneddoto: due anni fa, in una tappa del Tour Andy Schleck ha forato a 5 km dal traguardo. Fortunatamente, siamo stati avvertiti via radio, l'ammiraglia è arrivata subito e abbiamo organizzato il treno che ha permesso a Andy di salvare maglia bianca e secondo posto in classifica generale. Tutti erano contenti: Andy, la squadra, Bjarne e anche lo sponsor. Ora, pensate alla stessa situazione senza radio: un solo compagno si accorge subito della foratura e sente Andy nella concitazione, Schleck alza la mano e Riis arriva, cambiamo la ruota e tentiamo un inseguimento disperato e non organizzato, sul traguardo Andy perde la sua maglia bianca e il secondo posto, finisce nono, Bjarne è scontento e così anche i nostri sponsor. A fine anno lo sponsor potrebbe anche tirarsi indietro e segnare la fine della squadra. Grazie al divieto di utilizzare le radio. Naturalmente, questo è paradosso ma non certo esagerato.
    Un altro mito metropolitano è che le fughe avrebbero più possibilità senza radio: mai sentito nulla di più assurdo. Io parlo per aver provato entrambe le esperienze: quando sono in fuga mi piace avere la radio, ricevere un po' di sostegno dalla mia vettura, sentirmi motivare e ottenere informazioni esatte su chi mi sta inseguendo, con quanti corridori, così posso pianificare il mio sforzo durante l'azione. Se ho vinto delle corse con delle fughe è stato perché ero forte, in buona forma, ho sofferto come un matto e ho lavorato sodo: qualcuno pensa che la radio mi abbia fatto andare più veloce?
    Per quanto ne so, tutti i team World Tour pagano circa € 150.000 all'anno per la licenza. Fate voi il calcolo per 18 squadre. Ci si aspetterebbe che, a fronte di quella somma, ci fosse un interesse a rendere più sereni team e corridori.
    A tutti i "fan della tradizione" chiedo: siete sicuri di di voler tornare ai tempi di Jacques Anquetil? Ai tempi in cui Tour de France era una piccola gara con corridori provenienti da Francia, Belgio, Italia e poco altro?
    Ai giornalisti che sostengono il divieto di uso delle radio chiedo: sapete di cosa state parlando? E se anche noi chiedessimo dei divieti per voi? Dobbiamo spingere per un divieto di telefoni cellulari o computer portatili? Vogliamo rendere la vostra vita più interessante e spontanea?
    Infine, agli organizzatori gara che decidono di vietare la radio chiedo: sapete di che cosa state parlando? Io non vi dico di non usare il telefono cellulare durante la corsa, quindi che diritto avete voi di impedirmi di comunicare? Se vi interessa rendere più interessante le corse, evitate le tappe lunghe di trasferimento o le settimane di corsa noiosa e prendete in considerazione alcune tappe in circuito: i tifosi ci vedranno più spesso, è più facile e meno costoso per le troupe televisive ed è più sicuro correre senza radio.
    Perché non scegliamo, invece, di mettere le comunicazioni a disposizione di tutti, come in Formula 1? Potremmo attrarre tante persone e il ciclismo risulterebbe moderno e globale. Tutti coloro che vivono nel mondo del ciclismo - tifosi, organizzatori, sponsor, corridori, UCI e media - saranno d'accordo che siamo di fronte a problemi più gravi da affrontare. E allora insieme possiamo trovare una soluzione a questa vicenda.
    Jens Voigt
     
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  14. Nathalie5
     
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    Concordo pienamente con quello che dice Jens Voigt. Sottolinea il problema della sicurezza che è davvero il punto essenziale del dibattito e anche quello della modernità. Infatti perchè il ciclismo dovrebbe tornare indietro mentre gli altri sport vanno avanti ed evolgono ? Il ciclismo soffre già molto della sua immagina di sport di "vecchio" che attira poco i giovani. Non è con la decisione di togliere le radio che le cose miglioreranno. Ci sono tante altre cose da fare per rendere questo sport ancora più bello ed interessante.
     
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  15. enzo picci
     
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    io non credo assolutamente che le radioline condizioninino una gara, solo chi non ha un minimo di personalità si fa comandare totalmente da chi sta in ammiraglia, se uno è forte attacca non sta mica pensare al ds che gli dice di non farlo e magari perdere la corsa, poi per la sicurezza sono fondamentali.
     
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38 replies since 11/1/2011, 19:52   2106 views
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